Una didattica che fa scuola
Dal sito del Leone XIII riportiamo un interessante ed esaustivo articolo del prof. Antonio Bertolotti del Leone XIII sulla didattica online, modalità e vincoli
(fonte: sito leonexiii.it)
ANFIS (Associazione Nazionale Formatori Insegnanti Supervisori) ha chiesto al prof. Antonio Bertolotti, Coordinatore Didattico della Scuola Secondaria di I Grado del Leone XIII, di raccontare l’esperienza della nostra Scuola Media relativamente alla didattica a distanza.
Ne è nato un testo narrativo e gustoso, che muove dalle perplessità e difficoltà iniziali e approda alle sfide che questa modalità inedita di fare scuola offre, passando attraverso piattaforme, coincidenze orarie e soprattutto una grande disponibilità di tutti gli attori – docenti e studenti – a mettersi in cammino insieme lungo questo nuovo sentiero.
Leggi la premessa di ANFIS e, qui di seguito, l’articolo del prof. Bertolotti.
Coordinare il passaggio all’on line nella Secondaria di I Grado di una Scuola capofila di Avanguardie Educative
di Antonio Bertolotti, Coordinatore Didattico della Scuola Secondaria di I Grado, Istituto “Leone XIII” di Milano
Il contesto scolastico in cui mi trovo a ricoprire il ruolo di Coordinatore Didattico della Secondaria di I Grado è una realtà privilegiata, ne sono consapevole e convinto.
Il Leone XIII è un istituto paritario milanese che fa capo alla Fondazione Gesuiti Educazione; è una scuola con più di 100 anni di storia, solide infrastrutture e aule speciali, ampi spazi per le attività sportive, che ha sempre investito molto nell’aggiornamento tecnologico.
Le aule sono tutte cablate e dotate di LIM da dieci anni, l’Istituto è una delle scuole fondatrici e capofila di Avanguardie Educative promosse da INDIRE, ha collaborato a lungo con il centro studi Impara Digitale, ospitando diverse edizioni di Tablet@School, da tempo sono stati introdotti i tablet e la didattica digitale in tutti i corsi liceali, nella scuola operano animatori IT preparati e intraprendenti, la rete infrastrutturale informatica è di tutto rispetto, ogni plesso dispone di un’aula di Informatica dedicata.
Cosa si può volere di più?
Ma poi…
Poi arriva il virus covid-19, un nemico invisibile ma tremendamente reale e concreto, che manda all’aria tutte le certezze e pone di fronte ad un compito di realtà che non mi sarei aspettato.
Ora si deve fare sul serio, ora si vedrà se quelle infrastrutture reggono, se possediamo quelle competenze che vogliamo far crescere nei nostri
ragazzi.
Ora tutti quei presupposti che ci facevano sentire all’avanguardia, devono reggere l’impatto con una scuola che, dall’oggi al domani, scompare tanto nella sua fisicità quanto nella sua dimensione relazionale e pedagogica in presenza, ed è costretta ad affidare tutte le proprie potenzialità al web, ai pc e ai tablet, senza un orizzonte temporale attendibile.
La Secondaria di I Grado, la scuola “media”, è un’area mutevole, complicata e contraddittoria, in continua trasformazione, schiacciata tra due quinquenni dalla forte portata identitaria, la Primaria e i Licei.
In una situazione del genere, abituata ad introdurre le novità un poco alla volta dopo attenta riflessione, si fa presto a dire “attiviamo la didattica a distanza”: è un vero percorso ad ostacoli, alcuni dei quali del tutto imprevisti, su un toboga senza paracadute.
Vi racconto allora qualche pezzetto della nostra esperienza.
Capitolo uno: non ho l’età…
Puoi avere il server più veloce del mondo, i device più aggiornati, programmi e strumenti sofisticatissimi, videocamere digitali e schermi full HD a 5K, ma se non hai 14 anni, sei tagliato fuori.
Ecco il primo vero ostacolo, chi l’avrebbe detto… Le limitazioni imposte dalle policy di tutti i sistemi di videoconferenze, dalle piattaforme digitali, dalle reti di telefonia, dalla onnipresente legge sulla privacy (il micidiale GDPR 679 del 2016) sono tutte concordi: gli under 14, sulla carta, non hanno accesso libero agli strumenti che tanto servirebbero in queste difficili giornate.
Se non ci si vuole limitare a saturare il Registro Elettronico di compiti assegnati da far svolgere in autonomia (e anche al RE accedono soltanto i genitori, con la propria password, certo non i minori di 14 anni…), ma si vuole proporre una vera didattica a distanza, l’ostacolo delle autorizzazioni è il primo da superare.
È stato necessario frugare tra le pieghe della policy della piattaforma GSuite, consultare il responsabile per la privacy, e attendere quanto scritto dal MIUR in una delle sue Note. Solo a quel punto è stato possibile avviare un percorso assai complesso di creazione di un account di GMail per ciascuno studente, che gli permettesse – previo sblocco a cura dei genitori – di avere accesso alla piattaforma e alle app che ne costituiscono il potenziale “cuore didattico” (nel nostro caso, Meet per lo svolgimento delle lezioni on line, Classroom per lo scambio di materiali e lo svolgimento di attività ed esercitazioni, Jamboard per attività grafiche, ed ventualmente i moduli di GMail per i test).
A questo punto, sperando che tutto proceda per il meglio, si è pronti a partire.
Capitolo due: quale quadro orario?
Tra gli 11 e i 13 anni non si è più un bambino, ma la strada da percorrere è ancora molta, specialmente dal punto di vista organizzativo: la meta è l’autonomia, lo strumento è l’accompagnamento, graduale e progressivo.
In classe, in presenza, se ne ha una percezione immediata, inequivocabile, quasi fisica; ma on line? Una volta create le condizioni per poterci lavorare, on line, come gestire l’organizzazione?
In barba ad ogni modernità, la soluzione è stata il buon vecchio orario: è stato subito chiaro che quello vecchio non sarebbe stato più adeguato, che bisognava costruirne uno nuovo, ad hoc, con tempistiche diverse, che tenesse conto delle mutate condizioni (non puoi bloccare davanti ad uno schermo una classe intera di ragazzini per cinque o sei ore consecutive), ma che garantisse dei “binari” sui quali procedere.
Ecco allora le lezioni di 60 minuti che iniziano alle 08:30, per due ore; poi un’ora di pausa, nella quale i ragazzi possono rimanere connessi (un cortile virtuale, mentre fanno merenda, ma seduti sul divano di casa…).
Quindi altre due ore di lezione, fino alle 13:30. Nel pomeriggio – adesso che siamo arrivati alla quarta settimana di programmazione – è stato introdotto
qualche altro spazio/lezione in collegamento, con i docenti di Informatica e di Educazione Fisica, e qualche appuntamento extra per somministrare dei test (anche la valutazione ha le sue esigenze).
In questo modo, i ragazzi (e anche i prof.) hanno sempre ben chiaro il proprio programma settimanale, fissato nelle coloratissime caselle del proprio Calendar di classe. E si sentono di nuovo a scuola, davvero, quasi
come prima. Non è cosa da poco: il vecchio e il nuovo si mixano con
sorprendente efficacia.
Capitolo tre: una dieta ricca e diversificata…
Un progetto di didattica digitale si scontra con una serie di altri ostacoli che attengono alla nostra dimensione di docenti: le discipline che insegniamo e la nostra formazione personale.
Alcune discipline si adattano più rapidamente ad una comunicazione a distanza e altre faticano di più. A questo si aggiunge la preparazione di ognuno, la dimestichezza con gli strumenti digitali, la disposizione mentale a operare in una modalità differente, la vocazione ad innovare e a mettersi in gioco.
Dall’altra parte dello schermo ci sono i ragazzi, che proclamano a gran voce il bisogno di incontrare tutti, ma proprio tutti i propri docenti, persino il Preside (che non può limitarsi a stare dietro le quinte e ogni tanto si deve letteralmente far vedere).
E allora, proporzionalmente al pacchetto previsto dalla didattica ordinaria, nell’orario dell’insegnamento a distanza (17 ore settimanali per le prime, 18 per le seconde e 19 per le terze) tutti gli insegnanti e tutte le materie hanno spazio. Da subito e indipendentemente dalle proprie competenze digitali, sia quel che sia: perché solo così i ragazzi potranno ritrovare il senso di
una vera scuola, variegata ed equilibrata, come deve essere una buona e sana alimentazione della mente.
Capitolo quattro: imparare ad imparare…
La collegialità ai tempi del corona virus è un’esperienza singolare. Le conference call, le chiamate skype, i meeting virtuali sono il pane quotidiano per qualunque realtà aziendale. Per la scuola no, non è così: per noi docenti, abituati alle aule dense del calore umano – anche fisico – dei nostri ragazzi, ai corridoi dove ci fermiamo per confrontarci (sempre su di loro, cos’altro?), alla sala prof, luogo di scambio e condivisione, è improvvisamente mutato l’orizzonte fisico e mentale del lavoro.
Allora ci si ingegna a convocare collegi docenti virtuali; ne abbiamo fatti già quattro dall’inizio dell’emergenza, più brevi del solito, forse un po’ più direttivi, ma anche meno dispersivi e più efficaci. E poi una tornata completa di consigli di classe a distanza, videochiamate e telefonate continue con Vicepreside e collaboratori, a coordinare un modo di fare scuola a cui nessuno era davvero pronto, cercando di non dimenticare nulla – le assenze e i voti, le programmazioni e i ragazzi in difficoltà, i DSA e i BES, il sostegno e la disciplina (forse oggi dovremmo chiamarla netiquette).
E si riscopre – è sempre stato così, ma a volte lo si dimentica – che per essere insegnante prima di tutto bisogna essere disponibile ad imparare e che la solidarietà e la collaborazione tra colleghi è la risorsa più grande.
Il risultato è sbalorditivo: quasi nessuno si lamenta, tutti mettono a disposizione degli altri le proprie competenze, scompaiono i confini degli orari giornalieri, degli impegni familiari, dei fine settimana.
Gli esperti lo catalogherebbero come espressione del long life learning: la sostanza è la riscoperta della capacità di apprendere e innovarsi, sempre, insieme: in quale altro ambiente di lavoro sarebbe possibile con tanta travolgente ricchezza?
Capitolo cinque (ultimo): scusi prof., potrei parlarle…?
Il risultato complessivo non è affatto disprezzabile: visualizzarsi sullo schermo si può, studiare si studia, le lezioni sono assicurate e i programmi procedono, si interroga e si valuta, sono stati sdoganati persino i tanto osteggiati smartphone, così indispensabili in queste ore.
E si scopre che si possono fare molte cose nuove, in modo nuovo e si possono valorizzare talenti altrimenti lasciati in disparte.
Restano ancora molti fronti aperti.
Uno in particolare, quello dell’accompagnamento personale dei ragazzi, tanto importante nella fascia di età della Secondaria di I Grado, che la lontananza della virtualità rende problematico.
Parlare con i propri studenti, costruire con loro un rapporto tutoriale, che vada oltre la dimensione scolastica, ma che tocca il vero centro dell’essere e del fare scuola: si può a distanza?
È una scommessa che intendiamo giocare nel prossimo periodo, senza garanzie di successo, ma con una grandissima voglia di vincerla.