Albertini, il premier, i gesuiti e il dovere da compiere
L’ex sindaco ricorda la comune formazione
Albertini, il premier, i gesuiti e il “dovere da compiere”
(fonte: Corriere della Sera del 18-12-2012, di Armanto Torno)
Napoleone conosceva gli uomini. Ai gesuiti dedicò più di una riflessione. Quella che ricordiamo, almeno ai suoi tempi, conteneva alcune intuizioni: “Sono un’organizzazione militare, non un ordine religioso. Il loro capo è il generale di un esercito, non il semplice abate di un monastero. E lo scopo di questa organizzazione è il potere – potere nel suo esercizio più dispotico – potere assoluto, potere universale, potere di controllare il mondo…”.
Quando elaborava questi giudizi, i figli di Sant’Ignazio ufficialmente non c’erano: furono soppressi da Clemente XIV nel 1773 con il decreto Dominus ac Redemptor, occorrerà attendere il 1814 per il ripristino dell’ordine. E’ pur vero che in Russia, grazie a un accordo con Caterina II, continuarono a formarsi. Anche se erano aboliti.
Mario Monti e Gabriele Albertini – due nomi tra i tanti del panorama politico italiano – hanno frequentato il liceo in un istituto retto dai Gesuiti. A Milano, al Leone XIII. Per tale motivo si comprendono le parole dello stesso Albertini, proferite domenica scorsa alla trasmissione di Lucia Annunziata.
L’ex sindaco, ora candidato alla Regione Lombardia, evocava i trascorsi scolastici vissuti con la medesima formazione del presidente Monti. “Se devo riferirmi alla comune esperienza di allievi dei gesuiti è qualcosa che pone la nostra coscienza davanti a un dovere da compiere. In questo momento il dovere verso il Paese è offrirsi alle istituzioni…”.
Albertini utilizza il termine “dovere”. Bene. Per i Gesuiti non è il vocabolo portante, comunque è parte essenziale della missio, vale a dire del mandato che hanno ricevuto all’inizio della loro vita religiosa. Per fare un esempio semplice, diremo che i figli di Sant’Ignazio non si mettono in coro a pregare perché il compito principale a cui attendono è quello di ordinare la giornata in funzione della missione, non il lavoro cadenzato dalla preghiera; insomma, rappresentano l’esatto opposto di una finalità benedettina. O, per aggiungerne un altro che tutti conoscono, basti pensare al cardinale Carlo Maria Martini. La nomina episcopale gli giunse mentre era rettore della Gregoriana: partiva dal Papa ma gli venne, per così dire, “ordinata” dal generale. Da quel momento egli si staccava dalla Compagnia e doveva compiere un’altra missio per la quale era chiamato. Di essa ha parlato con il generale, che ha ricevuto l’ordine dal pontefice.
I Gesuiti, oltre i tre voti di castità, povertà e obbedienza, ne pronunciano un quarto: sottomissione assoluta al Papa. Il dovere evocato da Albertini è lo stile della missio, sulla quale si fonda la formazione di questi religiosi. Gli Esercizi di Sant’Ignazio, una delle più forti armi spirituali elaborate dall’uomo, consentono un’analisi esemplare della propria realtà interiore: lo scopo è quello di orientare alla missione.
Il dovere di “offrirsi” alle istituzioni ricordato nella puntata televisiva per un gesuita si traduce nella realizzazione della missio. Ma è possibile un paragone con le nostre questioni? Non è facile rispondere, ma se avessimo avuto nella recente vita politica persone con maggior senso del dovere, oggi non sarebbero necessari tecnici con la missio della salvezza dal baratro economico.